GIOVANNA MAFFEI
GIOVANNA MAFFEI: UNA STRAORDINARIA NOBILDONNA INTELLETTUALE VALEGGIANA DEL PRIMO OTTOCENTO
Un tempo la scrittura e la lettura erano dei rituali consolidati, lenti e silenziosi. Oggi siamo travolti dalle telecomunicazioni istantanee e dall’intelligenza artificiale che supera ogni nostra immaginazione. Il motto latino “Verba volant, scripta manent” si adatta perfettamente a questa temperie in cui tutto nasce e si dissolve rapidissimamente nei nebulosi universi digitali. Per fortuna, grazie agli epistolari possiamo rivivere emozioni ancora tangibili in quanto immortalate sulla carta con la penna d’oca e l’inchiostro. Leggendo queste lettere si ha però la sensazione di violare un’intimità che gli autori custodivano gelosamente e non era loro intenzione condividerla. La bellezza di certe storie però non merita di rimanere sepolta sotto la polvere del tempo.
I nostri protagonisti sono la marchesa Giovanna Maffei e il conte ferrarese Ercole Trotti Mosti Estense (1786-1828).
La biografia di questa straordinaria nobildonna valeggiana è rimasta localmente nell’ombra finché l’annotazione sui registri parrocchiali del suo matrimonio ha dato inizio alla riscoperta.
Giovanna (o Gianna) nacque nel 1798 figlia del marchese Antonio (1759-1836) e di Laura di Canossa (1772-1839). Sua zia, sorella della madre, era Santa Maddalena di Canossa. Visse, fino al matrimonio, prevalentemente nella villa di Valeggio con i genitori e le sorelle Anna, Laura e Silvia, ricevendo un’istruzione privata di alto livello. Manifestò fin da subito un profondo interesse per la letteratura italiana e quelle europee; imparò l’inglese, il francese, il tedesco, il greco e il latino. Amava leggere le opere in lingua originale e poi tradurle. Studiò anche scienze naturali, botanica, clavicembalo, ecc.
Nel 1814 a Verona, la sedicenne Giovanna incontrò il ventottenne conte Trotti Mosti, ufficiale napoleonico, il quale s’innamorò perdutamente di lei. Nel 1817 iniziò una fitta relazione epistolare (136 lettere) fra i due innamorati, durata fino all’8 ottobre 1818 quando l’arciprete don Vitale Vitali benedì il loro matrimonio nella chiesa di Valeggio. Dall’unione nacquero quattro figli: Malvina (1819-1905), Emma (1821-1890), Guelfo (1822-1844) e Tancredi (1826-1903).
Tutta la vita di Giovanna Maffei è stata punteggiata da incontri con personaggi importanti, come il cugino Ippolito Pindemonte, i letterati veronesi Girolamo Orti Manara, Aleardo Aleardi e l’abate Giuseppe Zamboni, geniale inventore della pila a secco, ecc.
Diventata contessa Mosti, accolse nella sua residenza di Ferrara Lord George Byron. Negli anni successivi diede vita a un salotto letterario che richiamò alcuni tra i più prestigiosi nomi della cultura e della politica del suo tempo. Nel 1828, trentenne, rimase prematuramente vedova dopo soli dieci anni di matrimonio.
Di lei, donna dalla spiccata vivacità intellettuale, rimane una vasta corrispondenza con i nomi più in vista della letteratura, dell’arte, delle gerarchie cattoliche e della politica, fra cui ministri e presidenti del Consiglio come M. D’Azeglio, B. Ricasoli, M. Minghetti, L.C. Farini, ecc.
Importante fu il suo contributo alla causa del Risorgimento, di cui ricorderemo solo la sua partecipazione attiva ai moti di Ferrara del 1831. Alla fine dello stesso anno, durante un soggiorno romano, conobbe e frequentò un poeta suo coetaneo che apprezzava molto: Giacomo Leopardi e il suo “amore impossibile”, la nobildonna Fanny Targioni Tozzetti.
Collaborò alla realizzazione di un’antologia degli scrittori italiani con un giovane drammaturgo tedesco, Paul von Heyse (Nobel per la letteratura nel 1910). Nel 1858, in un suo saggio G. Bianchetti la definì: «Una delle più istruite e amabili parlatrici d’Italia».
Giovanna ebbe un occhio di riguardo anche per chi era in difficoltà, come coloro che furono colpiti in quegli anni dalle alluvioni del Po.
Si spense in Ferrara nel 1879 all’età di 81 anni e fu sepolta nella tomba di famiglia nel cimitero monumentale della Certosa.
Queste scarne righe sono solo una presentazione di questa donna singolare che merita il giusto rilievo nella storia valeggiana e in quella italiana.
