ANALFABETISMO di ieri e di oggi

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ANALFABETISMO DI IERI E DI OGGI
di Cesare Farinelli

Fino alla metà del secolo scorso l’analfabeta era colui che non era in grado di leggere, scrivere e far di conto; l’effetto più immediato di questa condizione era che negli atti pubblici un’incerta croce sostituiva la firma. Oggi il problema si è spostato, superato l’Analfabetismo funzionale appena descritto, ne è sorto uno più complesso, quello digitale.

La scolarizzazione diffusa iniziò nel 1818, quando l’Imperial Regio governo austriaco istituì le scuole elementari MINORI e MAGGIORI nei territori del Lombardo-Veneto, dove il 64% della popolazione era illetterata. Quelle MINORI, 1ª e 2ª classe elementare, erano presenti in ogni parrocchia e affidate alle cure del parroco. L’obbligo scolastico riguardava entrambi i sessi dai 6 ai 12 anni. Le materie insegnate erano lettura, scrittura, prima aritmetica, religione e storia sacra. Le scuole MAGGIORI, 3ª, 4ª e 5ª elementare, si trovavano nei capoluoghi e nei centri più popolosi.

In Valeggio fu allargata la Canonica verso Via Roma per far posto alle aule destinate alla 1ª e 2ª classe elementare. Nei primi decenni dell’Ottocento, sotto il controllo dell’arciprete Don Vitale Vitali, tre sacerdoti si occupavano dell’insegnamento: Don Giovanni Ogheri, Don Paolo Gozzi e Don Adamo Bulgarini.
Nel 1895, nell’Italia unita, l’obbligo dell’istruzione elementare fu esteso fino alla 3ª classe. Nel capoluogo si contavano 3 classi maschili e tre femminili. Altre “multiclassi” funzionavano nelle scuole rurali, istituite nelle frazioni: Corradina-Remelli, Santa Lucia dei Monti, Frati-Borghetto e Salionze. Per ultime furono aperte quelle di Bodrone-Ca’ Vittori, Turchetti e di Ca’ Prato-Fontanello.
Limitatamente al capoluogo, nel primo Novecento furono aggiunte la 4ª e la 5ª classe, con possibilità facoltativa di frequentare una 6ª classe elementare. Malgrado ciò la lotta contro l’analfabetismo fu lunga e fu vinta solo agli inizi degli anni Sessanta del secolo scorso, grazie alla scolarizzazione di massa figlia del boom economico di quegli anni.
Oggi però si registra un nuovo tipo analfabetismo, legato al deficit di competenze digitali degli italiani che rischia di trasformare la rivoluzione dell’intelligenza artificiale da opportunità in minaccia.
Entro il 2030, il programma strategico dell’Unione Europea prevede che l’80% della popolazione di età compresa tra 16 e 74 anni abbia competenze digitali di base. Nel 2023, tale quota si attestava a poco più della metà, 55,5% in UE. l’Italia con il 45,8% per cento si collocava al 22° posto della graduatoria.
Questo significa che all’incirca 30 milioni di italiani sono nella situazione in cui si trovavano i loro avi che dovevano mettere una croce al posto della firma. È un dato preoccupante, metà della popolazione rimane esclusa da un mondo in vertiginoso cambiamento, dove ci saranno cittadini informatizzati di serie A, e una minoranza di cittadini di serie B che subiranno un’inarrestabile esclusione sociale.

Secondo gli ultimi rilevamenti, Il 93% degli italiani usa oggi abitualmente uno smartphone. Netto il divario tra generazioni: lo usano l’84% dei giovani tra i 15 ed i 24 anni, ma appena il 29% di chi ha superato i 64 anni.
In netta crescita, proprio grazie agli smartphone, anche l’accesso alla Rete: il numero di coloro che si connettono tramite i dispositivi mobili ha superato quello di chi usa il computer tradizionale. Il dato preoccupante è che i più giovani risultano «connessi» per oltre 15 ore al giorno!
Siamo difronte a mutazioni sociali epocali di cui non siamo in grado di immaginarne gli sviluppi. Dalla penna con il calamaio all’interfaccia cervello/computer è un passo irreversibile verso mondi ignoti e inesplorati.

 

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