ICONE DELLA RELIGIOSITÀ POPOLARE
di Cesare Farinelli
«Prèti, Dotôri e Capitèi, caève el capèl e rispetèi»
«Davanti ai Preti, ai Dottori e ai Capitelli, levatevi il cappello per rispetto»
Nelle nostre contrade si possono ammirare diverse sentinelle delle pietà religiosa del passato, alcune delle quali meritevoli di essere descritte. In questa breve rassegna abbiamo tralasciato i Capitelli più famosi come quello dei Giardini, di Cittadella o quello sul ponte di Borghetto, perché già trattati in precedenza.
Con il termine “Capitello” si identifica qualsiasi architettura, piccola o grande, semplice o complessa, che ospiti un’immagine sacra posta in uno specifico luogo a scopo apotropaico. Pur essendo espressioni di una pietas comunitaria rappresentano un certo gusto estetico legato al momento storico, alle disponibilità economiche dei committenti e all’abilità degli artigiani che li hanno realizzati. Sono chiamati anche “Edicole”, dal termine latino “ædicula”, nicchia, e costituiscono un segno di devozione che si è integrato in un tessuto urbano caratterizzato da stratificazioni profonde; nel nostro comune se ne contano più di un centinaio.
La nascita delle edicole cristiane risale al Medioevo quando dei lumi, accompagnati da icone, furono posti negli angoli più bui delle strade perché illuminassero il luogo e rassicurassero il viandante contro possibili mali naturali o soprannaturali, il quale si premuniva con un segno di croce e recitando qualche giaculatoria o un’Ave Maria.
I Capitelli erano anche luoghi di aggregazione, come durante il mese di maggio, quando tutte le sere attorno ad essi i fedeli della contrada si radunavano per la recita del Rosario e per fare quattro chiacchere. Fino alla metà del secolo scorso erano anche meta delle Rogazioni, processioni primaverili propiziatorie per la buona riuscita dei raccolti, accompagnate da preghiere e atti penitenziali per implorare la protezione divina sul lavoro dell’uomo e sui frutti della terra.
Le Rogazioni si distinguevano in “maggiori”, celebrate il 25 aprile, e “minori”, nei tre giorni che precedevano la festa dell’Ascensione (40 giorni dopo la Pasqua). Il sacerdote, giunto davanti all’edicola, alzando la croce astile e rivolgendola ai quattro punti cardinali, invocava: “A fulgore et tempestate, a peste, a fame et bello, ab omni malo libera nos Domine” (dal fulmine e dalla grandine, dalla peste, dalla fame e dalla guerra, da ogni male liberaci o Signore). La stessa invocazione è anche impressa sulla campana del 1742 posta nel campaniletto dell’Oratorio.
Forse, il tempo della religiosità che li ha creati sta tramontando, ma i Capitelli restano opere d’arte testimoni della nostra storia che documentano pagine importanti di un passato che non può essere dimenticato. Come ricordava George Bernard Shaw:
“Si usa uno specchio per guardare il proprio viso e si usano le opere d’arte per guardare la propria anima”.
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