Storico Aperitivo Valesà: “La Margherita”

Ben trovati a tutti, inauguriamo le Pillole del mese di Aprile parlando di un argomento che ben si addice alla primavera:

Storico Aperitivo Valesà: “La Margherita”

Questa bevanda è da circa un secolo una presenza fissa fra gli aperitivi serviti nei bar valeggiani, immancabilmente accompagnata da stuzzichini sempre più fantasiosi, abbondanti e golosi. Occorre subito precisare che la nostra Margherita non ha nessuna parentela con il cocktail internazionale Margarita, importato dal Messico attorno al 1970, e composto da Tequila, Cointreau, succo di limone e ghiaccio, il tutto servito in una coppetta con il bordo brinato di sale. Recentemente, si sono diffuse anche le mode giovanili dello Spritz, dell’anglosassone Happy Hour e di altri fantasiosi pre dinner, ma tutto ciò non ha minimamente intaccato il primato del nostro aperitivo, che per i più esigenti e raffinati cultori nostrani deve rigorosamente essere miscelato nelle seguenti proporzioni:

2 parti di vino bianco leggermente frizzante e fresco,

2 parti (o meno) di acqua minerale gassata fredda,

1 parte (o meno) di Bitter Campari,

1 profumata scorzetta di limone e, in estate, alcuni cubetti di ghiaccio.

Il tutto servito in un calice dal gambo sottile e dalla forma a tulipano chiuso, la cui sagoma permette di degustare olfattivamente gli aromi che si sprigionano nella parte più larga e salendo si concentrano sulla stretta apertura.

Per completezza dobbiamo registrare che esiste anche la variante “Aperol”, servita nei nostri bar, ma per i puristi tale scambio di liquori è semplicemente inammissibile!

La genesi di questo aperitivo, o “apritivo” come si diceva un tempo, è fonte di accese discussioni fra gli appassionati. Il nome stesso, sconosciuto al di fuori dal nostro territorio, deriverebbe dalla scorzetta di limone, di forma più o meno rotondeggiante che, posta al centro della rossastra bevanda, richiamerebbe il cuore giallo delle margherite dai petali rossi che fioriscono nei giardini.

Un’altra possibilità è che la bevanda sia un omaggio alla più amata e popolare regina d’Italia, Margherita di Savoia, alla quale furono dedicate tantissime cose (come la pizza), sia in vita sia dopo la morte avvenuta a Bordighera nel gennaio del 1926. Fra le memorie storiche valeggiane, che potrebbero averne ispirato il nome, c’è anche il primo melodramma semiserio del nostro musicista Jacopo Foroni, Margherita del 1846.

Dobbiamo anche ricordare che, nella piazza centrale di Valeggio, fino alla metà del Novecento, esisteva l’osteria della signora «Margherita», la quale potrebbe aver battezzato questo aperitivo.

Recenti ricerche ci hanno fatto conoscere anche un interessante cocktail francese, registrato la prima volta nel 1884, denominato Marguerite. La ricetta di questa bevanda, di cui esistono delle varianti, è riportata in una vecchia enciclopedia americana del barista (The Daly’s Bartender’s Encyclopedia, Massachusetts, 1903), ed è la seguente:

Riempire un contenitore con una dose di ghiaccio fine, aggiungere 2 spruzzi di arancio amaro, un bicchierino di Curaçao arancione, ½ bicchiere di vermouth francese, ½ bicchiere di Plymouth gin. Mescolare bene con un cucchiaio, versare in un bicchiere da cocktail, coronare con una buccia di limone, e servire.

Nel 1917, durante la Prima Guerra Mondiale, reparti francesi erano acquartierati in Valeggio; sicuramente, i loro ufficiali conoscevano e apprezzavano les Marguerites, servite nei Café francesi e, forse, pur con altri ingredienti, data l’impossibilità di reperire quelli originali, possono averle introdotte nei luoghi pubblici che frequentavano, come il Caffè sulla piazza centrale, l’Albergo all’Angelo, l’Albergo Al Sole, ecc. È quindi verosimile che la blasonata Marguerite transalpina si sia trasformata, per cause belliche, nella più popolare Margherita nostrana. Rimane comunque avvolta nel mistero l’origine di questa bevanda.

La signora Paola Ottaviani, il cui padre nel 1942 divenne proprietario del Caffè Commercio (Café per i valesàgn), in piazza Carlo Alberto, assicura che fin da bambina, seconda metà degli anni Quaranta, sentiva ordinare dagli avventori le Margherite. Questo aperitivo era servito anche durante la precedente gestione, quella delle sorelle Darra, dette le Bionde, quando il locale si chiamava Caffè Macallè, in omaggio al capoluogo etiope del Tigrè (erano i tempi dell’Africa Orientale Italiana!). La ricetta di allora, la più antica finora trovata, è la seguente:

¾ di vino bianco normale fresco, ¼ di acqua di seltz, una spruzzata più o meno generosa di Bitter Campari (a seconda dei gusti) e l’immancabile scorzetta di limone.

Nel 1917, durante la Prima Guerra Mondiale, reparti francesi erano acquartierati in Valeggio; sicuramente, i loro ufficiali conoscevano e apprezzavano les Marguerites, servite nei Café francesi e, forse, pur con altri ingredienti, data l’impossibilità di reperire quelli originali, possono averle introdotte nei luoghi pubblici che frequentavano, come il Caffè sulla piazza centrale, l’Albergo all’Angelo, l’Albergo Al Sole, ecc. È quindi verosimile che la blasonata Marguerite transalpina si sia trasformata, per cause belliche, nella più popolare Margherita nostrana. Rimane comunque avvolta nel mistero l’origine di questa bevanda.

La signora Paola Ottaviani, il cui padre nel 1942 divenne proprietario del Caffè Commercio (Café per i valesàgn), in piazza Carlo Alberto, assicura che fin da bambina, seconda metà degli anni Quaranta, sentiva ordinare dagli avventori le Margherite. Questo aperitivo era servito anche durante la precedente gestione, quella delle sorelle Darra, dette le Bionde, quando il locale si chiamava Caffè Macallè, in omaggio al capoluogo etiope del Tigrè (erano i tempi dell’Africa Orientale Italiana!). La ricetta di allora, la più antica finora trovata, è la seguente:

¾ di vino bianco normale fresco, ¼ di acqua di seltz, una spruzzata più o meno generosa di Bitter Campari (a seconda dei gusti) e l’immancabile scorzetta di limone.

Abbiamo anche scoperto che una variante negli ingredienti della Margherita è sbocciata fra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento in alcuni bar del centro, fra cui l’Ostaria de le Gnòche (insegna Al Pesce), l’Ostaria de Benaglia (poi Central Bar e oggi Victoria Club) e l’Albergo all’Angelo (oggi Angel Bar), che in quegl’anni era gestito da un certo Bonfà, detto per il suo profilo Ca buldò. Questa Margherita era servita miscelando all’acqua minerale frizzante e al vino bianco, il Bitter Aperitivo Amaro Gagliano, più economico rispetto al Campari, prodotto da un’azienda di Cavalcaselle (Castelnuovo del Garda), la Liquori Ercole Gagliano. Questa ditta è stata assorbita nel 1986 dalla F.lli Marcati di Sommacampagna che ne commercia ancora il logo.

È necessario ricordare che, nelle precarie condizioni economiche del passato, la gente comune non faceva uso degli aperitivi, gli schèi erano pochi e ci si poteva permettere solo qualche bicchiere di vino, di solito il sabato mattina, giorno di mercato, la domenica usciti da Messa o dopo le Fonsioni pomeridiane, durante le accanite partite a carte o a bocce. Non era raro sentire l’emblematica ordinazione: «En’ quarto de vi ’n tri!». C’è da sottolineare che quei valeggiani non avevano certo bisogno di stimolare il loro già robusto appetito, che difficilmente riuscivano a saziare sulle loro povere mense. Quindi, solo chi aveva girato il mondo: comercianti, mediatòri, esercènti, marasiài, dotóri e siòri vari, poteva aver conosciuto e apprezzato la moda prettamente cittadina degli apertivi.

Poi, con il boom economico dei primi anni Sessanta del secolo scorso tutto è cambiato; nuove abitudini si sono imposte, nuovi esercizi sono stati aperti — fra cui il mitico Cin-Cin Bar, punto di ritrovo della gioventù esistenzialista del tempo — e i loro ripiani si sono arricchiti di una varietà di liquori mai visti prima, anche quelli che si vedevano solo nei film o nella neonata televisione.

Sono arrivati gli aperitivi analcolici, le bevande alla spina, i superalcolici di marca, le bibite più svariate servite non più con le cannucce di paglia ma di colorata plastica, i vini DOC, i gelati confezionati, il caffè decaffeinato, gli snacks, i toasts — insuperati quelli magistralmente farciti da Bìgi del Céntral, al secolo Luigi Pezzini (1927-1993) — le brioches, le patatine, i pop-corn, i juke box, i biliardini, i flipper, le slot machines, ecc. Ma la Margherita, nonostante tutto, è rimasta la regina dei nostri bar, valicando indomitamente le mode e il tempo.

A questo punto della nostra narrazione, merita una menzione particolare il geniale marangò/mobiliere valeggiano Antonio Grazioli, classe 1892, ideatore fra l’altro della Ghiacciaia Alaska, progenitrice dei frigoriferi domestici. Questo singolare artigiano, nei primi anni Sessanta, rese celebre il suo aperitivo a base di Campari e vino bianco in parti uguali: il «Grazioli» appunto. Tuttavia, sia per la composizione sia per la data di creazione, non ha legami con la nostra Margherita, anche perché il Grazioli era già noto da lungo tempo in area lombarda con il nome di «Mès-e-mès». Allora girava per i nostri bar anche un altro particolare aperitivo: La miscela del direttore, non attinente però alla nostra ricerca.

Dovendo risalire agli antenati della Margherita, dobbiamo ricordare che l’Aperitivo italiano, in senso generale, è nato nel 1786, quando Antonio Benedetto Carpano cominciò a produrre, in sua bottega sotto i portici di Piazza Castello a Torino, un vino aromatizzato ottenuto per infusione di erbe e spezie che chiamò Vermouth (dal tedesco Wermut = Artemisia absinthium).

Nel 1815, il milanese Ausano Ramazzotti creò il primo aperitivo a base non vinosa, ponendo in infusione idroalcolica 33 fra erbe e radici provenienti da tutto il mondo. La fortunata storia del Campari è iniziata nel 1862, grazie a Gaspare Campari, proprietario di un piccolo caffè di Novara, che brevettò il suo aperitivo e, per distinguerlo da quello piemontese, lo chiamò con un altro nome d’origine germanica: Bitter (amaro) all’uso d’Hollanda. I milanesi ne decretarono ben presto il successo e lo ribattezzarono più semplicemente Bitter Campari. L’Aperol è una creazione della ditta padovana dei F.lli Barbieri, che lo ha presentato ufficialmente alla fiera internazionale di Padova del 1919.

Concentriamo ora la nostra investigazione sugli aperitivi più famosi negli ambiti territoriali limitrofi: il bresciano Pirlo e il veneto Spritz. Il Pirlo, noto dal secondo dopoguerra, viene quotidianamente servito in tutta l’area orobica seguendo la ricetta classica: acqua naturale, vino bianco fermo, Campari o Aperol, con una scorzetta di limone. Il suo nome deriverebbe dal particolare movimento che il liquore compie nella miscela di vinosa; l’onda rossastra scivola sul fondo, rotolando poi verso l’alto ricordando il dialettale pirlo = la giravolta. Ai nostri giorni si è diffuso anche il Pirlone, che non è altro che una dose doppia del precedente.

L’altro aperitivo di riferimento è il già citato Spritz. Le più accreditate fonti lo fanno nascere durante la dominazione asburgica nel XIX secolo e il suo nome deriverebbe dal tedesco spritzen/gespritzt =spruzzare/ spruzzato. I soldati austriaci, assidui frequentatori delle nostre osterie, non trovandosi a loro agio con la gradazione elevata dei vini italiani, cui non erano abituati, ne ordinavano delle caraffe allungate con acqua: questo è lo spritz liscio o sprizzato così come lo si serve ancora oggi. Con il passare degli anni, l’aperitivo è cresciuto con una varietà di aggiunte, come ad esempio il Seltz (nome legato alla città tedesca nota per le sorgenti d’acqua frizzante: Selters in Assia), e liquori più o meno forti, coronati con un’aromatica buccia di limone immersa o semplicemente strizzata nel bicchiere. È nota anche la versione decorata con un’oliva verde infilzata su uno stecchino: il Sommergibile, che Bìgi del Céntral chiamava il Galleggiante, per la somiglianza con l’aggeggio usato per pescare. Secondo altre scuole di pensiero, lo Spritz sarebbe invece un’istituzione tipicamente veneta che affonda le sue radici nella storia più antica.

Già conosciuto nel medioevo, ci sarebbero sue tracce anche in epoca romana e paleo veneta, in quanto anche quelle antiche genti erano solite allungare i forti vini locali con vari prodotti.

In tempi moderni, sono stati progressivamente introdotti liquori di colore rosso, quali il Campari, il Cinzano, il Carpano, il Martini, l’Aperol e il Select Pilla (tipicamente veneziano) o di colore scuro come la China Martini, il Ramazzotti, il Cynar, il Galliano e altri. Lo Spritz è oggi una moda di grande successo, grazie a massicce campagne pubblicitarie e all’unione dell’Aperol con il vino più famoso del momento: il Prosecco.

Concludendo questa scarna e incompleta inchiesta, possiamo affermare che la Margherita è sicuramente presente nei nostri bar fin dai primi anni Trenta del Novecento. È molto probabile che la sua comparsa sia collocabile sul finire della Grande Guerra introdotta, come detto, da ufficiali francesi. La totale mancanza di documentazione c’impedisce di dare risposte certe, tuttavia, è anche palese la sua strettissima parentela col lombardo Pirlo, che col veneto Spritz e, visto che siamo geograficamente posti proprio fra queste due regioni, non poteva essere altrimenti. Cin-cin! (© – C. Farinelli – MMXXIII )