quando “Pippo” bombardò la crosàgna

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QUANDO «PIPPO» BOMBARDÒ LA CROSÀGNA!
di Cesare Farinelli
Visto l’interesse suscitato da «Pippo», forse interessa sapere che:
Ernestino Barbieri (1929-2006), insegnante, giornalista e appassionato di storia, nato e cresciuto in Crosàgna (Via A. Murari), nel 2001 raccontò al quotidiano l’Arena una sua drammatica esperienza vissuta durante gli ultimi giorni del secondo conflitto mondiale.

Erano le 9 di sera del 21 aprile 1945 e, data la criticità della situazione, nessuno quel giorno aveva celebrato il genetliaco dell’Urbe. La contraerea tedesca de l’Oselàra del mont’Ogheri (La colombaia del Monte Ogheri – oggi non più esistente), inquadrato un ricognitore che volava a bassa quota sulla valle del Mincio, aprì il fuoco. Il velivolo, noto col nomignolo canzonatorio di «Pippo», vistosi inseguito dai proiettili traccianti della mitragliera teutonica, passò a volo radente su Valeggio sganciando tre Spezzoni, (dei cilindri esplosivi o incendiari usati come munizionamento da caduta su bersagli estesi). Seguirono tre forti esplosioni in Crosàgna o via Italo Balbo (la strada era dedicata al noto trasvolatore abbattuto sui cieli libici). Gli ordigni centrarono lo Stallo (il ricovero per i cavalli) dell’Albergo all’Angelo (Angel Bar), la casa di Titari Benaglia e il cortile della signora Luciana Freschini Gottardi. Vi furono danni e feriti, nessun morto.
Il maestro Barbieri, allora sedicenne, pochi istanti prima del bombardamento, nella sua casa in Crosàgna, stava disegnando sul tavolo della cucina un diavolo con tanto di corna e barbetta infernale:
“Mia madre, Ida Gardumo in Barbieri, mi rimproverò dicendomi: «Ghèt altro da disegnàr?» (Non hai nient’altro da disegnare?). Non fece in tempo a finire la frase che «Pippo» rumoreggiò a bassa quota sganciando le bombe. D’istinto abbandonai il disegno rifugiandomi nel sottoscala, dove sentii la seconda esplosione che atterrò la casa di Titari, dirimpetto alla mia, che rimase sforacchiata dalle schegge. Vidi riempirsi il mio cortile di fuochi artificiali di tutti i colori. Nessuno dei miei rimase ferito. E neanche il lattoniere Titari, che pur pieno di spavento poté salvarsi sotto la maestà della porta d’ingresso. Una scheggia impazzita colpì al costato un aviere dei «Diavoli Rossi», a quell’ora già in branda (se la cavò comunque), nel vicino Palazzo Guarienti adibito a caserma. Sotto il palazzo c’era il rifugio, che raggiunsi zoppicando in mezzo alle macerie, ai vetri infranti e ai fili della luce attorcigliati per terra. Mi presentai spaventatissimo al corpo di guardia: «Qui c’è un ferito!», disse l’aviere di piantone. «No – lo rassicurai – ò sol pèrs ‘n supèl!» (Ho solo perso uno zoccolo!).
«ARRIVA PIPPO!»
Fra il 1943 e il 1945, al calar della notte, un misterioso aereo solcava costantemente i cieli del nord Italia terrorizzando la popolazione. Tutti lo conoscevano come «Pippo». Sembra che questo nomignolo abbia un’origine onomatopeica: i testimoni raccontavano che il borbottio dei motori dell’aereo era simile a un «pipp-pipp, pipp-pipp»; tanto bastò per collegarlo a una canzone molto in voga in quel periodo, scritta da Kramer, Sartelli, Panzeri e cantata dal Trio Lescano: “Ma Pippo, Pippo non lo sa, che quando passa ride tutta la città, ha, ha…”, forse fu per esorcizzare la paura che ogni notte si presentava, inesorabile, assieme al sordo ronzio del misterioso aeroplano.
I tanti «Pippo» in volo sull’Italia facevano parte di una complessa operazione degli Alleati, denominata Night Intruder = Intruso Notturno, tesa a interrompere le comunicazioni e a destabilizzare l’area ancora controllata dal nemico.
«Pippo» era così temuto che la stessa propaganda fascista intervenne più volte affermando che il molestatore volante era stato finalmente abbattuto.
Migliaia d’italiani, che si credevano al sicuro dai bombardamenti a tappeto che devastavano le grandi città, dovettero per una ventina di mesi, trascorrere le notti con i nervi a fior di pelle. Era convinzione comune che violando anche minimamente le norme sull’oscuramento notturno, dimenticando accesa una luce, una candela o anche solo un fiammifero usato per fumare, un aereo nero come la pece sarebbe piombato dal cielo colpendo senza pietà.
Per evitare inutili stragi di civili furono lanciati dagli Alleati dei volantini prima di alcuni bombardamenti, ma riguardarono solo delle operazioni diurne su obiettivi militari. Altri lanci furono effettuati per invitare la popolazione a non collaborare con i nazi-fascisti. Durante le missioni notturne, «Pippo» lanciò solo ordigni esplosivi, alcuni dei quali, chiamati “farfalle”, una volta al suolo, esplodevano solo se qualche malcapitato (di solito ragazzi) li maneggiava per curiosità, con le tragiche conseguenze che si possono immaginare. I voli di «Pippo» cessarono solo il 3 maggio 1945, dopo la resa incondizionata dei tedeschi, firmata qualche giorno prima nella reggia di Caserta a Napoli.
E, finalmente, si poté dormire in… pace!

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